Procedimento disciplinare pubblico impiego

Gli atti di gestione del personale adottati dalla pubblica amministrazione sono atti connessi all’esercizio del potere datoriale.

Da ciò deriva la natura privatistica del potere disciplinare del datore di lavoro pubblico e delle sanzioni irrogate al termine dei procedimenti disciplinari con la conseguenza competenza del Giudice del Lavoro e non del TAR.

Il nuovo art.55 del D.lgs. n. 165 del 2001 contiene il rinvio all’art.2106 cod. civ. (che fissa il principio di proporzionalità tra infrazione e sanzione)e l’art.42, comma 1 del D.lgs. n. 165 del 2001 dispone l’applicabilità dello Statuto dei lavoratori alle pubbliche amministrazioni e ciò, secondo quanto disposto dal successivo art.51, comma 2, a prescindere dal numero di dipendenti.

Si deve subito precisare che l’azione disciplinare non è facoltativa ama è obbligatoria, come si evince dall’art.55-sexies, comma 3 del D.lgs. n. 165 del 2001.
Il nuovo art.55, comma 2, contiene la previsione dell’equipollenza tra l’affissione del codice disciplinare all’ingresso della sede di lavoro e la sua pubblicazione nel sito web dell’amministrazione.

Il procedimento disciplinare si articola in tre fasi fondamentali: la contestazione dell’addebito,
l’istruttoria e l’adozione della sanzione.
L’art.55-bis, commi 2 e 4 del D.lgs. n. 165 del 2001 sancisce che la contestazione degli addebiti debba avvenire in forma scritta ad substantiam, e fissa in modo chiaro il dies a quo del termine per la conclusione del procedimento.

In relazione al procedimento disciplinare ed alla data della prima acquisizione della notizia dell’infrazione, la Cassazione ha stabilito i seguenti principi di diritto: “La sentenza Cass., n. 20733 del 2015 ha affermato che in tema di procedimento disciplinare nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi dell’art. 55-bis, comma 4, secondo e terzo periodo, del d.lgs. n. 165 del 2001, la data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione, dalla quale decorre il termine entro il quale deve concludersi, a pena di decadenza dall’azione disciplinare, il relativo procedimento, coincide con quella in cui la notizia è pervenuta all’ufficio per i procedimenti disciplinari, o, se anteriore, con la data in cui è pervenuta al responsabile della struttura in cui il dipendente lavora. La “ratio” della fissazione di un termine finale entro cui concludere il procedimento, risponde a molteplici esigenze: quella di far sì che il dipendente non vi resti assoggettato per un tempo indefinito, ma anche quella di consentire all’Amministrazione datrice di lavoro una reazione congrua ed esemplare, anche per gli altri lavoratori. Il che significa che le stesse esigenze di certezza che sono alla base della tutela del dipendente, vanno rispettate, per irrinunciabile simmetria, anche con riguardo alla posizione dell’Amministrazione.

Ciò non può avvenire se non individuando in modo certo ed oggettivamente verificabile il “dies a quo” da cui far decorrere il termine in discorso”. (CORTE CASS. Sent. 28891 – 17).

Il Termine per la contestazione scritta dell’addebito al dipendente è di 30 giorni dal momento che l’UPD sia venuto a conoscenza dei fatti con rilevanza disciplinare: Il termine è perentorio.

Pertanto, se l’Ufficio disciplinare contesta al dipendente un fatto o un comportamento di cui è a conoscenza da più di 30 giorni, viene meno la validità e l’efficacia di tutto il procedimento disciplinare, inoltre entro 120 giorni dalla contestazione dell’addebito deve esservi la conclusione del procedimento disciplinare.

Anche questo termine è perentorio, con le conseguenze descritte in precedenza.